Conciliare Marx e George
Di John Martino. Originale pubblicato il 14 marzo 2025 con il titolo Reconciling the Insights of Marx and George. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.
“Il capitale è lavoro morto, che si ravviva, come un vampiro, soltanto succhiando lavoro vivo e più vive quanto più ne succhia.” ~ Karl Marx, Il capitale, Libro I, Capitolo 8
“Questa associazione del progresso con la povertà è il grande enigma dei nostri tempi. … Infino a tanto che l’aumento di ricchezza, che il moderno progresso seco adduce, non servirà che a far sorgere grandi fortune … il progresso non sarà reale e non potrà durare.” ~ Henry George, Progresso e povertà, Introduzione1
Dopo aver letto l’anno scorso Progresso e povertà di Henry George e del primo llibro del Capitale di Karl Marx, mi sono trovato a riflettere sulle notevoli differenze e le possibili concordanze tra queste due opere seminali sull’economia politica. Pur essendo rivali che giungono a conclusioni diverse, i loro ideali non sono incompatibili e le loro analisi offrono una visione originale, da approfondire, del capitalismo e della proprietà terriera. Nonostante ognuno abbia il suo punto di vista, un’analisi comparativa rivela, oltre a interessanti differenze, anche tratti potenzialmente complementari. Prima di addentrarci nelle complessità di un’analisi comparata, sarà meglio cominciare esaminare singolarmente le due opere per capire le basi degli autori.
I punti principali trattati da Marx nel testo in esame, il cui titolo completo è Il capitale, Critica dell’economia politica, Libro I, sono quelli che un lettore istruito già conosce: materialismo storico, sfruttamento del lavoro e feticismo delle merci. Il materialismo storico è il concetto più noto, risale a prima del Capitale (compare nel Manifesto del partito comunista, pubblicato quasi vent’anni prima: “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi.”). Il materialismo storico, alla base del pensiero marxista, sostiene che il cambiamento sociale è il risultato del conflitto inerente tra chi ha e chi non ha. Da notare che Marx considerava il capitalismo, nonostante la genesi e la natura violente, la forza più progressista della storia fino ad allora (“il capitale viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi”. Il capitale, Libro I, Capitolo 24): allunga l’aspettativa di vita delle popolazioni più povere, genera innovazioni mai viste prima e apre le porte a molte possibilità future, riconosce Marx. Ma, da critico sociale qual era, non poteva non vedere le contraddizioni interne, e questo lo portò a sviluppare le sue teorie radicali. Arrivò alla conclusione che si trattasse di contraddizioni sostanzialmente autodistruttive (“L’accumulazione di ricchezza all’uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto”. Ivi, Capitolo 23).
E veniamo all’altro polo della nostra analisi: Henry George, che occupa uno spazio spesso trascurato dagli economisti odierni. Nei dibattiti televisivi, la nozione prevalente sull’origine del valore è, detto sommariamente, che “capitale più lavoro uguale valore”. George per contro sottolinea l’importanza anche della terra. Come tanti altri economisti liberali classici prima di lui, anche George sosteneva la teoria del valore del lavoro (oggi perlopiù ignorata, soprattutto tra i liberali), ovvero che il lavoro precede il capitale, e che il lavoro può creare valore di per sé mentre il capitale non può esistere senza il lavoro. Ma da dove viene il lavoro? Se per lavoro s’intende lo sforzo fisico o mentale di un individuo o collettività che aggiunge qualcosa alla società o che porta alla creazione di qualcosa scambiabile reciprocamente, dov’è che il lavoratore lavora, e da dove prende gli strumenti del suo lavoro? Secondo George, ogni cosa ha origine dalla terra che egli lavora. La terra esiste da prima che i nostri antenati comuni emergessero dal brodo primordiale, è qui che abbiamo imparato a crescere, condividere, costruire, piantare; a fare, insomma, tutto quello che conosciamo e che ci è di aiuto. Dunque, dice George, se il lavoro precede il capitale, la terra precede il lavoro (“Il lavoro è la forza iniziante, attiva, della produzione… La terra è il fattore passivo. Senza la terra il lavoro non potrebbe fare nulla; senza il lavoro la terra sarebbe infruttuosa.” Progresso e povertà, Libro III, Capitolo III. Traduzione mia, NdT). La terra è sempre un elemento condiviso ed è per questo che, sostiene George, la sua proprietà privata, la mercificazione di qualcosa che dovrebbe essere universale creando un regime di scarsità artificiale, è un atto immorale (“Il pari diritto di tutti a servirsi della terra è tanto ovvio quanto il loro diritto di respirare: è insito nel fatto stesso di esistere.” Ivi, Libro VII, capitolo I. Traduzione mia, NdT). George vede nella proprietà monopolistica della terra la causa prima della povertà nonostante la crescita economica.
Ora che abbiamo visto brevemente la sostanza dei loro pensieri, possiamo fare un confronto e metterli a contrasto, cercando quelle sottigliezze che ci capita di non vedere quando, per non uscire dal nostro ambito ideologico, ascoltiamo acriticamente l’uno o l’altro.
Tratti stilistici divergenti riflettono approcci diversi
Una delle principali differenze tra Marx e George è il tratto stilistico. George scrive con l’afflato di un artista: una prosa vivace e avvincente, che avrebbe potuto fare un romanzo se si fosse dedicato più alla fantasia che alla sociologia. Per contro, il Capitale di Marx è un pesante trattato accademico di ottocento pagine, un saggio scientifico nonostante certe metafore umoristiche. La differenza non è solo superficiale, ma riflette un diverso approccio all’oggetto. Il maggiore afflato poetico di George è in linea con la sua etica, riflette le sue preoccupazioni morali in materia di povertà e proprietà della terra, va oltre il concetto scientifico della separazione del bene dal male (“La proprietà privata della terra è un torto smisurato, incivile e rozzo come la schiavitù.” Libro VII, Capitolo I. Traduzione mia, NdT). Lo stile di Marx è più metodico, frutto di uno studio profondo dell’economia, sottolinea le inefficienze e i fallimenti insiti nel sistema capitalistico e quelle che Marx considera le sue contraddizioni.
Terra e capitale a confronto
Come detto nell’introduzione, Marx si concentra sulle contraddizioni interne del sistema capitalistico, cerca di spiegare come queste tare generino sfruttamento e crisi sistemiche. Nonostante il pensiero fortemente critico, nel Capitale Marx non delinea soluzioni al problema rappresentato dal capitalismo (l’aveva fatto anni prima nel ben più breve Manifesto del partito comunista scritto con Friedrich Engels). D’altro canto, George nel suo studio arriva alla conclusione che la crescente povertà è frutto dell’arricchimento illecito del proprietario terriero, e che la soluzione sta nell’abolizione della proprietà privata della terra e nell’istituzione della proprietà comune; ma, secondo i suoi ideali libertari, ritiene che si debba farlo senza la forza dello stato (“Dobbiamo far sì che la terra sia proprietà di tutti… non confiscandola, ma eliminando le rendite e abolendo le tasse sul prodotto del lavoro.” Libro VIII, Capitolo II. Traduzione mia, NdT). Il sistema migliore passa per una tassa unica sui latifondi, conosciuta come imposta sul valore fondiario. In questo modo, spiega, si incoraggerebbe un uso efficiente della terra e si ridurrebbe la speculazione. Pur con approcci diversi, entrambi gli studiosi identificano i punti critici del sistema economico del loro tempo, tanto che alla teoria sullo sfruttamento del lavoro di Marx si possono accostare le teorie di George sulle rendite fondiarie.
Sintesi dei due pensieri: ampliare la visione
Nonostante le differenze, possiamo, come già detto, sintetizzare il pensiero di Marx e di George in una più ampia critica del capitalismo. L’analisi marxiana delle tendenze autodistruttive integra la proposta di una proprietà comune della terra di George. In realtà, è più sensato concludere che il monopolio in sé è un male, che sia un monopolio del capitale o della terra. Quando una qualche risorsa è troppo concentrata nelle mani di qualcuno a discapito dei tanti, il risultato inevitabile è lo sfruttamento e la povertà, che a giudizio di entrambi è un’evitabile tragedia resa possibile solo dalla burocrazia (“Allo stato naturale la povertà non ha ragione d’esistere. L’errore è delle istituzioni dell’uomo, che fanno sì che qualcuno abbia ciò che appartiene a tutti.” Progress and Poverty, Libro 4, Capitolo 3. Traduzione mia, NdT). Si potrebbe affermare con Marx che, se il capitalismo è stato inizialmente una forza progressista contro il feudalesimo, ora mostra segni di fallimento strutturale. L’imposta sul valore fondiario di George potrebbe combattere le disparità economiche, e all’atto pratico (idealmente) eliminare la rendita, con l’eccedenza distribuita sotto forma di reddito di base; dall’altro canto, l’analisi marxiana delle contraddizioni del capitale e la proposta rivoluzionaria di abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione sottolinea la necessità di un più ampio cambiamento di sistema. Questo approccio dialettico fonde le intuizioni di entrambi giungendo ad una comprensione più profonda dell’economia politica.
Conclusioni
Personalmente, tendo tanto verso Marx quanto verso George. Sono in sintonia con la critica del capitalismo di Marx, molto di ciò che ha scritto si applica ancora oggi, ma non riconosco la filosofia semireligiosa e la visione monocausale della storia che spesso accompagnano il marxismo. Quanto a George, la sua critica della proprietà terriera è convincente, ma non si accorge che la stessa critica si può applicare anche alla proprietà privata del capitale. Curiosamente, pur essendo anarchico e socialista, mi trovo un po’ più vicino a George, le sue opere trasudano speranza e un autentico amore per l’umanità, mentre Marx appare spesso accigliato e rancoroso (non senza una ragione, ammettiamolo) verso le élite di potere. Dopo la lettura di Progresso e povertà, passando in auto sono attirato dai cartelli con su scritto “In affitto”, solitamente accompagnati dal nome della società immobiliare proprietaria. Il potere ingiusto della proprietà immobiliare la vedo anche sul posto di lavoro: la ditta per cui lavoro vorrebbe fare riciclaggio ma il padrone dell’immobile non lo permette.
Ritornando all’oggetto di prima, l’influenza di George la ritroviamo in tutto lo spettro politico, dall’economista libertario di destra Milton Friedman allo scrittore anarchico ottocentesco Leo Tolstoi, e questo sottolinea la portata universale delle sue idee. La messa in pratica delle teorie marxiste da parte di Lenin, Stalin e Mao nel corso del ventesimo secolo fa emergere un punto critico: dal pensiero marxiano, che individuava accuratamente le tare del capitalismo, i suoi seguaci trassero spesso soluzioni orrende. Noam Chomsky è arrivato a definire la profezia di Mikhail Bakunin, secondo il quale gli stati marxisti sarebbero diventati dittature del capitalismo di stato, “uno dei rari casi in sociologia in cui una predizione si è avverata.” Per concludere, chiunque sia interessato allo studio dell’economia politica può trovare, sia nel Capitale che in Progresso e povertà, spunti preziosi utili anche nel dibattito attuale.
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Nota
1. Una traduzione italiana è liberamente disponibile qui: http://progressandpovertyinstitute.org/wp-content/uploads/Progresso-E-Poverta.pdf. Quei punti che non sono riuscito ad individuare sono stati tradotti direttamente dall’inglese, NdT.
The Center for a Stateless Society (www.c4ss.org) is a media center working to build awareness of the market anarchist alternative
Source: https://c4ss.org/content/60899
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