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Chi Accusa di Analfabetismo Economico Confessa un Analfabetismo Storico

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Di Kevin Carson. Pubblicato originariamente il 29 aprile 2024 con il titolo Every Accusation of Economic Illiteracy Is a Confession of Historical Illiteracy. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.

The Freeman torna a difendere le fabbriche dello sfruttamento e il lavoro infantile sostenendo la tesi della “migliore opzione disponibile” (“What Many Critics of Child Labor Overlook”). Secondo l’articolista, ogni indignazione popolare riguardo la presenza del lavoro infantile nelle catene di approvvigionamento delle aziende occidentali dimostra “quanto è profonda l’ignoranza economica dei media occidentali e della popolazione in generale”.

La gente crede ingenuamente che vietare il lavoro infantile migliorerebbe la condizione dei più giovani. Basta avere una discussione con qualcuno riguardo il libero mercato e inevitabilmente prima o poi si incappa nella questione del lavoro inantile. “In assenza di regole, ci sarebbe lavoro infantile dappertutto!” Ma è una tesi afflitta da un grosso problema: dà per scontato che il lavoro infantile sia la peggior cosa che possa capitare a un bambino.

Certo il lavoro infantile non è una gran cosa. Nessun genitore vorrebbe vedere i propri figli sudare come fontante in un’acciaieria. Ma prima di giudicare questa pratica, dobbiamo chiederci quali sono le alternative.

Dobbiamo capire che il lavoro infantile è una delle varie possibilità che ha il bambino. Cosa succede se il lavoro infantile è vietato? Che il bambino opta per la seconda possibilità. Nei paesi in cui il lavoro infantile è legale, la seconda possibilità è solitamente la fame, la povertà o la prostituzione.

Ludwig von Mises faceva lo stesso ragionamento in difesa delle fabbriche demoniache della prima rivoluzione industriale:

I padroni non avevano il potere di costringere nessuno a lavorare nelle loro fabbriche. Potevano solo assumere chi era disposto a lavorare per il salario offerto. Per quanto fosse basso, questo salario era comunque molto più di quello che i poveri potevano guadagnare in un altri settori disponibili.

Proprio questo genere di ragionamento, in un altro articolo sempre su The Freeman, mi spinse una ventina d’anni fa a coniare il termine “libertarismo volgare”.

Dunque: è un caso se il lavoratore è bloccato tra queste alternative di merda; i datori di lavoro non c’entrano assolutamente niente. E poi è un caso se i padroni hanno i mezzi di produzione, ed è un altro caso se i lavoratori sono proletari senza nulla costretti a vendere le loro braccia ai termini stabiliti dai padroni. È ridicolo anche solo pensare che la classe padronale sia direttamente implicata nelle politiche statali che riducono le opzioni disponibili ai lavoratori.

La tesi della “migliore opzione disponibile” è tipica dei libertari di destra che, nel determinare la “spontaneità” di una certa interazione, tendono a ignorare le differenze di potere strutturale e la violenza nascosta, non solo ma non provano neanche a guardare appena sotto la superficie di ciò che accade. Non si chiedono neanche perché il lavoro infantile e lo sfruttamento sono “le migliori opzioni disponibili”, chi impone queste alternative, e se per caso i datori di lavoro non siano implicati in quelle strutture di potere che impongono queste alternative. Non si chiedono neanche perché due secoli fa c’erano lavoratori disposti a lavorare nell’industria tessile inglese, e perché i salari di quell’industria erano il massimo che si potesse trovare a quei tempi.

Se guardiamo la vera storia dell’economia, vediamo che i lavoratori durante la Rivoluzione Industriale accettavano orari di lavoro lunghi e paghe basse perché erano stati forzatamente privati di alternative… dai datori di lavoro. Fin dal tardo Medio Evo, si cominciò a chiudere per destinare alla pastorizia i campi aperti a cui gli abitanti dei villaggi inglesi avevano diritto di accesso. A partire dalla metà del Settecento, con le enclosure approvate dal parlamento, le classi terriere derubarono i contadini del rimanente diritto comune ai pascoli, i boschi e le aree umide.

A giustificazione del furto, le classi terriere, esplicitamente e sfacciatamente, sostenevano che la popolazione rurale non accettava di lavorare come salariato a paga bassa come loro avrebbero voluto, almeno non finché avevano la possibilità alternativa di ricavare sussistenza dai beni comuni.

In un pamphlet del 1739 leggiamo: “per rendere docili e operose le classi inferiori non c’è che ‘metterle nella necessità di lavorare tutto il tempo che avanza loro dalla veglia e il riposo al fine di procurarsi il sostentamento quotidiano.” Un trattato del 1770 intitolato Essay on Trade and Commerce (Trattato sulle attività e il commercio, Ndt) avvertiva: “i lavoratori non dovrebbero mai ritenersi indipendenti dai loro superiori… La cura non sarà perfetta finché i poveri che lavorano nelle fabbriche non saranno felici di lavorare sei giorni e ricevere quattro giorni di paga.”

I contadini, espulsi da affitti esosi, divenuti “popolazione in eccesso”, scappavano nelle città e accettavano di lavorare in fabbrica perché ogni altra alternativa gli era stata tolta con la forza. E forse non è un caso se le stesse classi terriere responsabili delle espulsioni erano spesso soci silenti delle attività industriali che assumevano le vittime dei loro stessi furti.

L’assenza di “alternative” di oggi, allo stesso modo, è il risultato di secoli di imperialismo e di secoli di interventi post-coloniali, quando gli stati occidentali hanno espropriato le terre comuni, magari in combutta con le oligarchie terriere locali, togliendole ai contadini del Terzo Mondo. La manovalanza a basso costo che le aziende occidentali arruolano nel Terzo Mondo sono il frutto di collusioni con gli stati capitaliti che hanno sistematicamente eliminato possibilità migliori.

La “migliore opzione disponibile” offerte da chi sfrutta il lavoro infantile sono l’esempio classico di chi prima ti azzoppa e poi ti offre le stampelle.

Non è un caso il fatto che l’autore, Benjamin Seevers, sia “dottorando in economia presso la West Virginia University”. Gli argomenti sono quelli tipici dei libertari di destra in fatto di “economia” che a loro dire la sinistra “non capisce.”

Quando un opinionista di destra accusa qualcuno di “ignoranza economica” finisce spesso per rivelare la propria ignoranza storica.

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