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Una Terapia per i Radicali

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Di Chris Matthew Sciabarra. Articolo pubblicato originariamente il 24 giugno 2024 con il titolo Therapy for Radicals. Tradotto in italiano da Enrico Sanna.

Scritto a quattro mani assieme a Ryan Neugebauer

Rules for Radicals, di Saul Alinsky

Nel 1971, l’attivista statunitense Saul Alinsky pubblicò un libro intitolato Rules for Radicals: A Practical Primer for Realistic Radicals (in italiano, Radicali, all’azione!: Organizzare i senza-potere). Nel libro, Alinsky accusava gli attivisti “disillusi dal sistema” di volerlo “Ridurlo in cenere!” Molti di questi attivisti erano “pieni di illusioni su come cambiare il mondo”. Da allora il libro di Alinsky, un manuale di consigli pratici per attivisti politici, è stato fatto proprio non solo da attivisti di sinistra ma anche da politici istituzionali democratici liberali, come Hillary Clinton e Barack Obama, e da conservatori repubblicani del Tea Party.

È importante tenere in mente ciò perché le questioni affrontate in questo articolo riguardano chiunque voglia il cambiamento sociale a prescindere dalla forma e dalla direzione.

Il discorso di Alinsky è forse più rilevante oggi di mezzo secolo fa, quando è stato pubblicato il libretto. Vi si legge:

La generazione attuale cerca disperatamente di dare un senso alla propria vita e al mondo in cui vive. … Sanno che i leader politici sono di un’idiozia incredibile. Se i politici del passato, dai sindaci ai governatori fino alla Casa Bianca, erano guardati con rispetto, quasi con riverenza, quelli di oggi sono disprezzati. Una visione negativa che ormai si allarga a tutte le istituzioni, dalla polizia ai giudici fino a comprendere tutto “il sistema”. Viviamo in un mondo in cui i mass media mettono quotidianamente a nudo l’ipocrisia innata della società, le sue contraddizioni e l’evidente fallimento della nostra vita sociale e politica in ogni aspetto. … I giovani subiscono un tale diluvio di informazioni e fatti che ormai il mondo gli appare un manicomio, e corrono impazziti alla ricerca di un modo di vivere che abbia un senso.

Alinsky sapeva che “il requisito di base di una politica del cambiamento è la conoscenza del mondo”. Questo è un importantissimo punto di partenza del suo “rules for radicals”. L’analisi parte dal mondo “così com’è e non come vorremmo che fosse.” “Non si può non partire da questo punto”. Certo a volte può essere molto “doloroso accettare di iniziare dalla situazione attuale”, visto che sappiamo in che condizioni sociali ingiuste e deplorevoli si vive. Ma se vogliamo cambiare radicalmente la vita “non possiamo rimanere nella gabbia di illusioni sulla vita che noi stessi abbiamo costruito”.

Cosa significa essere “radicali”?

Politicamente parlando, il titolo di questo articolo, “Una terapia per i radicali”, suscita qualche domanda. Primo: cosa significa essere “radicale”? Secondo: perché chi dice di volere il cambiamento “radicale” dovrebbe avere bisogno di una “terapia”, e che genere di “terapia”?

Contrariamente a quello che troviamo in certi dizionari, “radicale” non è sinonimo di “estremista” (qualunque cosa significhi il termine) o di fautore dell’“utopia” (letteralmente, “luogo inesistente”). Al contrario, come dice Alinsky, un radicale deve iniziare da un luogo che esiste, ovvero dalla realtà.

La parola “radicale” viene dal latino radicalis, la cui radice radic– deriva da radix, radice. Un radicale è pertanto uno che va alla radice delle cose. Ma il pensiero autenticamente radicale nella sua ricerca della “radice” delle cose non è riduzionista. In un contesto sociale complesso i problemi possono essere visti solo nei contesti più ampi in cui sono inseriti. Vediamo spesso come un certo problema è connesso a tutta una ragnatela di altri problemi, ognuno dei quali è estensione e espressione di altri problemi nonché dell’intero sistema formato da tutti quanti congiuntamente. In breve, al cuore del pensiero, della strategia e dell’agire radicale sta una sensibilità dialettica (Sciabarra 1995, 1-5). La dialettica è l’arte di pensare rimanendo nel contesto (Sciabarra 2000, 149; 2024). Offre strumenti importanti con cui migliorare il processo informativo, o la comprensione dei nostri, per poi trovare il modo di risolvere entrambi dinamicamente e sistemicamente.

Il pensiero radicale e la coltivazione del giudizio

Nel suo tentativo di fare un elenco di “elementi ideali” necessari allo sviluppo del pensiero radicale, Alinsky decanta le virtù di una mente aperta, libera e attiva che si rapporta con il mondo spinta dalla curiosità, dal coraggio, dall’immaginazione, dal desiderio di inclusione e di autorganizzazione, una mente che provi a sviluppare “una fiducia incondizionata nella propria capacità di fare ciò che si deve fare.” Il mondo è difficile e spesso tragico ma, suggerisce Alinsky, dobbiamo affrontarlo senza perdere il senso dell’umorismo (un umorismo macabro, aggiungiamo noi).

Altrettanto importante è la coltivazione del giudizio. Perché per contestare i principi base e interagire con gli altri non basta avere una quantità enorme di dati e conoscenze con cui supportare le ragioni del cambiamento. Il giudizio sorge quando si coltivano elementi taciti nel proprio pensiero (Polanyi 1966; Lavoie [1985] 2015, 103-4). Citiamo da Beth Birenbaum (senza data): “Il giudizio è una cosa complessa, ricca di sfumature. … Va oltre la conoscenza e l’informazione. Si nutre della capacità di afferrare le complessità, le sottigliezze, le interconnessioni presenti nella vita. È la capacità di cogliere l’insieme, gli schemi nascosti e le conseguenze di ogni scelta.” Per questo occorre conoscere meglio se stessi e capire gli altri. Bisogna apprendere e applicare nella pratica le conoscenze e le capacità che apprendiamo con le esperienze della vita. Serve “la capacità di vedere le situazioni da molte angolazioni, di identificare le questioni di fondo, di considerare le conseguenze per poi decidere saggiamente sulla base di questa consapevolezza.” Noi attori nel mondo dobbiamo “trovare un punto di equilibrio tra ruoli diversi”, gestire il nostro tempo e stabilire priorità, superare ostacoli e adattarci a nuove sfide. Dobbiamo avere la “volontà di imparare”, dobbiamo adeguare il nostro punto di vista al mutare delle informazioni. “Bilanciando conoscenza e comprensione, il giudizio impedisce le scelte impulsive e spinge verso una visione di lungo termine, e così facendo spiana la strada ad un futuro più duraturo e più ricco per tutti.”

Secondo John Varvaeke, scienziato della cognizione, il giudizio è “la vittoria sull’autoinganno” (Morgan 2024). Vervaeke considera il giudizio un atto partecipato che permette di vedere in prospettiva (Vervaeke 2019a, episode 40). La “conoscenza in prospettiva” fornisce una mappa che dice dove ci si trova. Rilevanti sono i fatti salienti, evidenti, mentre ciò che è ignorato diventa irrilevante.” Ciò che è evidente varia secondo il punto di osservazione e secondo come si generalizzano i fatti, le questioni e i problemi. Per contro, una “conoscenza partecipata” è ciò che emerge dalla “relazione tra agente e luogo dell’azione”, il luogo dove vengono co-definite le identità: chi sono io e chi sei tu, ad esempio (Vervaeke 2019b). È così che apprendiamo come operare in quello spazio; insomma, partecipiamo al processo di apprendimento tutti assieme, in un contesto più ampio.

Alcuni radicali cadono nel complottismo, che tra l’altro manca di questi modi di conoscenza. Può essere utile cercare un disegno nascosto nelle vicende umane, osservava Elizabeth Preston (2019), ma chi crede nei grandiosi “complotti tende a vedere schemi nelle cose più minute …fino a scorgere relazioni tra eventi che non sono in relazione tra loro.” Spesso le tesi complottistiche rappresentano un “meccanismo di difesa”, sono il prodotto dell’“ansia, dell’incertezza e dello scarso autocontrollo”: comprensibile, dati i tempi in cui viviamo. Le tesi complottistiche possono “aiutare certe persone e gestire problemi che appaiono troppo grandi” per essere compresi, ma allontanano dalla “conoscenza partecipata”. Forniscono risposte preconfezionate a problemi che richiederebbero un’analisi dei fatti, un’attenzione per i dettagli e una conoscenza profonda dei contesti.

Per migliorare l’azione nel vasto ambito partecipato che si vuole cambiare, i radicali devono coltivare il giudizio. Questo significa liberarsi dei dogmi asfissianti e avviare un processo aperto di conoscenza che porti a trovare il modo migliore di cambiare il panorama socio-politico-economico. Non è compito di questo articolo illustrare nel dettaglio quale sarà il risultato di questo processo. Che comunque deve partire da una visione chiara dei propri principi e di quali cambiamenti possono e devono essere fatti in un dato momento nel contesto generale della situazione attuale. Coltivare il giudizio significa operare su una base solida. Quando si ha una base solida si ha anche più fiducia nelle proprie capacità di fronteggiare il mondo con più sensibilità, riducendo così le rigidità problematiche.

Il pensiero radicale e la necessità di essere flessibili

Partendo dal mondo così com’è, un radicale basa sapere e agire su condizioni reali. Avere una base però non significa essere intransigenti. Per poter pensare e agire con profitto occorre conciliarsi con le incertezze della vita. “L’incapacità di vivere con l’incertezza genera il dogmatismo, l’idea di una fede autentica, il fanatismo,” spiega Barbara Branden. Provocatoriamente, la Branden definisce “maturità l’incapacità non solo di vivere con l’incertezza… ma anche, forse, l’incapacità di accoglierla come sfida” (in Sciabarra 2000, 95 n20).

Poiché è inevitabile vivere con l’incertezza, Alinsky raccomanda ai radicali di essere “flessibili, resilienti, fluidi, sempre in movimento in una società che è essa stessa in continuo cambiamento. … Più ci liberiamo delle catene del pensiero dogmatico, e più siamo in grado di rispondere alla realtà delle situazioni più svariate che la società presenta.”

Gli autori di questo saggio nella propria vita hanno sperimentato, ognuno in modi diversi, “la prigione del pensiero dogmatico”. L’esperienza di Ryan con certe ideologie opprimenti cominciò nel 2014, quando, per cinque mesi rimase come rapito dall’ideologia dell’“anarco-capitalismo”. Oggi paragona l’esperienza a quella di un indemoniato in un film dell’orrore. Ad attirarlo fu la coerenza apparentemente semplice del messaggio e un’altrettanto apparente idea di libertà dall’autorità statale. Hai un problema? Tutto può essere risolto con il libero mercato! Lo stato non arriva a tanto. Per ogni problema, la risposta era semplice: basta che le persone siano libere di coordinare le proprie azioni associandosi liberamente in un mercato libero. Anche quando un problema appare difficile da risolvere, basta mantenere la fiducia nel mercato libero!

Su internet Ryan finì per circondarsi di persone che la pensavano allo stesso modo, come in una sorta di cassa di risonanza. Arrivò ad avere una discussione con il suo compagno di camera (a quei tempi sedicente “socialdemocratico”). Non si parlarono per settimane, per quanto condividessero pochi metri quadri. Si angosciava se qualcuno gli mandava articoli e materiale che sfidava i suoi punti di vista ideologici, il che fa capire quanto questi fossero fragili. Alla fine l’ideologia entro in collisione con la sua personalità, con effetti autodistruttivi mal tollerati. Durante un corso di storia degli Stati Uniti, rimuginando e riflettendo, ascoltando punti di vista diversi, Ryan riuscì finalmente ad aprirsi alle opinioni contrarie e andare oltre l’anarco-capitalismo, evitando però di cadere nella stessa trappola dogmatica con un’ideologia diversa (Neugebauer 2022).

Il problema di Chris era di genere diverso. Alle superiori sviluppò un pensiero fortemente conservatore, messo in crisi dalle opere di Ayn Rand. Le idee fortemente polemiche di quest’ultima condussero Chris alla vasta tradizione intellettuale libertaria. Durante gli studi alla New York University poté studiare alcuni dei migliori economisti di scuola austriaca. Arrivato alla specializzazione, fu il contatto con il politologo marxista Bertell Ollman, che durò fino alla tesi di laurea, a scuotere le sue convinzioni più profonde (Sciabarra 2023). Da allora ha assorbito un insieme eclettico di influssi, facendo suo l’invito a “pensare fuori dagli schemi”, e questo l’ha portato a scontrarsi con persone che la pensavano come lui su questioni di base ma che diventavano intolleranti quando si deviava dalla norma. Col tempo, Chris ha finito per sviluppare un motto: “Prendi la gemma che puoi trovare in ogni persona e/o scuola di pensiero che incontri, critica ciò che non accetti… e fregatene!” (Sciabarra 2021)

In genere, uno dei problemi più grossi dei radicali è la rigidità mentale. Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning definisce il pensiero flessibile “la capacità di cambiare marcia o direzione per adattarsi a circostanze impreviste o a problemi inediti”. “Chi è affetto da rigidità mentale”, spiega, “è contro il cambiamento, non accetta i cambi di direzione e ammette un solo modo (il proprio!) di risolvere un problema” (“Flexible Thinking…” n.d.). Ci sono radicali che fanno ragionamenti del tipo “o così o ti arrangi” (quella che i terapisti cognitivo-comportamentali chiamano mentalità “tutto o niente”) e sono profondamente convinti di avere l’unica soluzione possibile (“Cognitive Distortions…” 2023). Le altre opinioni, le altre soluzioni possono finire al macero! Questo è un modo di pensare che certamente non aiuta i radicali ad affrontare le tante complessità della realtà. Si elimina il ragionamento sottile a favore di spiegazioni e soluzioni semplicistiche (Neugebauer 2024c).

Vi invitiamo a studiare le tante distorsioni cognitive che riguardano forme di pensiero rigido e inutile, come il “catastrofismo”, la “tendenza a vedere negativamente ciò che è neutro o positivo” (discounting the positive) e la “personificazione” (Casabianca 2022). Tutte distorsioni particolarmente evidenti nell’era dei mass media e di internet (Neugebauer 2024b). Sono errori che tutti possono fare, radicali e non, errori che inibiscono la possibilità di vivere una vita libera e ricca mentre si costruisce un mondo migliore. I radicali tendono al catastrofismo (vedono le cose peggio di quello che sono) e sfruttano la realtà percepita per convincere gli altri che le loro soluzioni sono le uniche possibili. Data questa tendenza a vedere tutto negativamente, certo alimentata dalla percezione della distanza tra società esistente e società voluta, la possibilità è che i radicali vedano negativamente anche ciò che di buono è stato fatto e i miglioramenti potenziali. Ci sono radicali che adottano la fede nichilista dell’“accelerazionismo”, che in una sorta di “peggio è e meglio è” vorrebbe accelerare gli effetti orribili del capitalismo così da affrettarne la fine (Carson 2021, 254-255). Si tratta di una tendenza che incoraggia la violenza come soluzione di tutti i mali.

Ci sono infine radicali che in un’identificazione intima con l’ideologia indossano magliette o sventolano bandiere con i suoi simboli. La cosa di per sé non è un male, se non che, legando l’ideologia alla propria identità, si finisce per interpretare ogni critica dell’ideologia come un attacco personale con conseguente reazione violenta. La soluzione in tutti i casi è l’apertura mentale, una maggiore separazione tra idee politiche e identità personale e una posizione che permetta di individuare i punti forti e quelli deboli del mondo al fine di cambiarlo, senza, però, perdersi durante il percorso. Non c’è bisogno di soffocare se stessi per affrancare la società (Neugebauer 2024a).

Non importa quanto si è convinti di certi principi, si fa un torto a se stessi quando ci si identifica con un programma politico al punto da reprimere la propria felicità. Abbiamo visto fin troppe persone ossessionate dall’idea di cambiare il mondo, che col tempo hanno visto erodersi tanto i propri nobili ideali quanto la propria identità personale. Finiscono per diventare infelici come la realtà che vorrebbero combattere. Friedrich Nietzsche (1886) ammoniva: “Chi combatte i mostri deve cercare di non diventare esso stesso un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.”

Critiche radicali e alternative alla realtà presente

Friedrich Hayek ([1956] 1980, 130) sosteneva che “essere radicali dev’essere un nostro privilegio”. Ma per essere radicali occorre conoscere i limiti della nostra conoscenza e la nostra posizione all’interno del sistema che vogliamo cambiare. Noi non siamo esterni al sistema. Non c’è un punctum Archimedis da cui osservarlo. Non siamo né in uno “stato di natura” né alla “fine della storia”. Il mondo non è una tabula rasa, né noi possiamo farlo diventare tale. Non a caso Karl Popper rifiutava proprio quest’idea: qualunque tentativo di fare tabula rasa, o meglio di lavare tutto col sangue di innumerevoli innocenti, non fa che sostituire un’oppressione di un tipo con un’altra di tipo diverso (vedi Popper [1962] 1971, 167-168).

Tornando ad Alinsky, “Pensare che una rivoluzione politica possa sopravvivere senza una base che supporti una riforma popolare significa chiedere l’impossibile. … Cambiare significa sempre disorganizzare il vecchio e organizzare il nuovo. … Il prezzo dell’abbattimento [della realtà presente] è un’alternativa costruttiva.” Oppure, prendendo dall’I.W.W.: radicale è chi cerca di dar forma “a una nuova società nel guscio di quella vecchia” (The I.W.W.: What it is, and What it is Not 1920).

Ma un’alternativa costruttiva, anche quando allo stato attuale appare illusoria o “utopica”, richiede strategie non totalitarie, che evitino le trappole degli “inquadramenti totalitari utopici” (Novak 2022). Una strategia non totalitaria può comprendere anche l’edificazione di “istituzioni parallele” dal basso, nate spontaneamente e organizzate comunitariamente, che mettano assieme le risorse per la realizzazione di obiettivi comuni (Thompson 2018). Oppure si può operare nelle istituzioni esistenti, anche con gruppi diversi, e su basi che variano a seconda dei casi. Bisogna essere disposti ad agire ad un tempo dentro e fuori il sistema se si vuole cambiare la cultura e la politica sociale, politica e economica.

Come si devono evitare approcci “totali”, così bisogna evitare anche approcci “minimi”, perché eventi, questioni e problemi sono interconnessi. Anche se non è facile scorgere e valutare quei segni che portano all’origine di queste interconnessioni. Come Hayek, anche Alinsky mette in guardia contro le conseguenze non volute. “[N]el mondo reale,” spiega, “la soluzione di un problema ne crea inevitabilmente un altro.” Dobbiamo evitare il rischio di atomizzare e isolare le questioni. E se qualche volta ci viene la voglia di accendere un fiammifero e “fare un rogo di tutto il sistema”, se a volte cerchiamo il pulsante che cambia tutto all’istante, dobbiamo capire che l’oppressione ha volti diversi. La si può sconfiggere col tempo, ma solo se le alternative generano relazioni sociali di forma fondamentalmente diversa.

A questo proposito torna utile André Gorz e il suo concetto di “riforme non riformiste”, che respinge l’opposizione binaria tra chi vuole un cambiamento graduale e chi è per una rottura drastica dell’ordine esistente. Per Gorz, è importante sviluppare programmi che portino a risultati concreti e che facciano da transizione verso un cambiamento di fondo del sistema. I cambiamenti graduali possono potenzialmente cambiare le dinamiche di potere emarginando le élite costituite (Engler e Engler 2021; Carson 2021, 248). Eventi storici apparentemente “di rottura” col passato, come le rivoluzioni, hanno finito inevitabilmente per rappresentare una evoluzione. Ai radicali serve tanto la fermezza quanto la pazienza.

La Rand (1975) disse una volta: “Chiunque lotti per il futuro vive già nel futuro”. Il progetto radicale è molto esigente con i suoi artefici. Noi traiamo energie da chi condivide i nostri valori, da chi si unisce a noi nella lotta per un mondo migliore, e allo stesso tempo cerchiamo con tutte le nostre forze di mantenere una forte autenticità personale mettendo in pratica gli ideali in cui crediamo. Analizzare il contesto aiuta a capire i propri limiti e realizzare il potenziale, servendo così non solo una causa sociale ma anche il proprio benessere personale. Sono queste le lezioni terapeutiche generate da un approccio che sia abbastanza onesto da definirsi radicale.

Le nostre traduzioni sono finanziate interamente da donazioni. Se vi piace quello che scriviamo, siete invitati a contribuire. Trovate le istruzioni su come fare nella pagina Sostieni C4SS: https://c4ss.org/sostieni-c4ss.

Ringraziamenti

Ringraziamo Eric Fleischmann, Roderick T. Long e Kevin Carson per i loro utili suggerimenti. Con le dovute riserve.

Riferimenti

Alinksky, Saul. 1971. Rules for Radicals: A Practical Primer for Realistic Radicals. New York: Random House.

Birenbaum, Beth. n.d. “Wisdom: Definition, Benefits, & Quotes.” Berkeley Well-Being Institute.

Carson, Kevin. 2021. Exodus: General Idea of the Revolution in the XXI Century. Center for a Stateless Society.

Casabianca, Sandra Silva. 2022. “15 Cognitive Distortions to Blame for Negative Thinking.” PsychCentral (11 January).

Cognitive Distortions: All-or-Nothing Thinking.” 2023. Cognitive Behavioral Therapy Los Angeles (4 October).

Engler, Mark and Paul Engler. 2021. “André Gorz’s Non-Reformist Reforms Show How We Can Transform the World Today.” Jacobin (22 July).

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Hayek, Friedrich. [1956] 1980. “The Dilemma of Specialization.” In Studies in Philosophy, Politics, and Economics. Chicago: University of Chicago Press, Midway Reprints.

The I.W.W.: What it is and What it is Not. 1920. Chicago: Industrial Workers of the World.

Lavoie, Don. [1985] 2015. Rivalry and Central Planning. Foreword by Peter J. Boettke and Virgil Henry Storr. Arlington, Virginia: Mercatus Center at George Mason University.

Morgan, Tom. 2024. “Wealth and Wisdom: An Interview with John Vervaeke.” What is Important? (1 January).

Neugebauer, Ryan. 2022. “Market, State, and Anarchy: A Dialectical Left-Libertarian Perspective.” Center for a Stateless Society (25 April).

Neugebauer, Ryan. 2024a. “Personal Flourishing for Everyone: A Commentary on Human Flourishing Accompanied by 25 People Exploring Personal Flourishing for Themselves.” Medium (3 March).

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Neugebauer, Ryan. 2024c. “A Review of William James’s Pluralism: An Antidote for Contemporary Extremism and Absolutism by Wayne Viney.” Medium (11 June).

Nietzsche, Friedrich. 1886. Beyond Good and Evil: Prelude to a Philosophy of the Future. Chapter IV (Apophthegms and Interludes), no. 146.

Novak, Mikayla. 2022. “Conceptions of Utopia in Modern Liberal Thought: Is There a Liberal Utopia?Utopian Studies 33, no. 1: 144-60.

Polanyi, Michael. 1966. The Tacit Dimension. London and New York: Routledge and Kegan-Paul.

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Vervaeke, John. 2019a. Awakening from the Meaning Crisis. 50-episode course. YouTube. Transcripts of these lectures can be found here. We quote from Episode 40, “Wisdom and Rationality.” A forthcoming book based on this series is due to be published in 2024.

Vervaeke, John. 2019b. “The View from Above: A Transformation of Perspectival and Participatory Knowledge.” Modern Stoicism (12 October).

The Center for a Stateless Society (www.c4ss.org) is a media center working to build awareness of the market anarchist alternative


Source: https://c4ss.org/content/59782


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