Perché le Dittature di Myanmar Sono Regimi Fascisti
Di Hein Htet Kyaw. Originale pubblicato il 17 ottobre 2025 con il titolo Why Myanmar’s Military Dictatorships are Fascist Regimes. Traduzione italiana di Enrico Sanna.
Già George Orwell avvertiva che la parola “fascismo” spesso si riduce ad un banale insulto. Si ricordano i tratti più evidenti, come il dispotismo e il militarismo, tralasciando le basi ideologiche. I primi rientrano nei regimi fascisti, ma non sono tratti distintivi. Certe organizzazioni però sono definite fasciste a ragione. La dittatura militare di Myanmar, con il suo attuale consiglio, è un caso esemplare di regime fascista.
L’esercito di Myanmar: un prodotto dell’esercito imperiale giapponese
Le origini dell’esercito di Myanmar risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, quando l’impero giapponese, un regime fascista, assoldò e addestrò nazionalisti birmani perché combattessero contro i britannici e gli alleati. Stupito dalla vittoria nel conflitto russo-giapponese, il Giappone promise l’indipendenza della Birmania in cambio del suo sostegno.
L’Esercito della Birmania Indipendente (EBI) nacque nel mese di gennaio 1942 al comando di Keiji Suzuki e Aung San. Composto inizialmente da 2.300 uomini, l’EBI crebbe significativamente durante l’invasione giapponese della Birmania. Ma nonostante gli sforzi propagandistici, non riuscì a conquistare il popolo Karen, che rimase fedele alla corona britannica. Seguì il massacro di almeno 1.800 abitanti dei villaggi Karen, la prima atrocità che rivelò la natura brutale dell’esercito birmano addestrato dal Giappone.
Capire il fascismo: dal socialismo internazionalista al socialismo nazionalista
La storia interna del marxismo, inizialmente un’inedita forma particolare di “socialismo scientifico” rispetto ad altri movimenti contemporanei (soprattutto utopici), è segnata da una serie di crisi. Crisi da cui nacquero diversi movimenti revisionisti che portarono a differenti forme di socialismo, dal genere rivoluzionario a quello evoluzionista. Secondo Georges Sorel, pensatore marxista di spicco, il marxismo viveva una “crisi”, o “decomposizione”, dovuta a due tendenze principali: il marxismo ortodosso (la socialdemocrazia rivoluzionaria) e il marxismo revisionista (la socialdemocrazia riformista). Secondo Sorel, queste due principali correnti privavano il marxismo del fine rivoluzionario, trasformandolo in un programma politico borghese. Pensava che le due correnti marxiste del tempo volessero semplicemente mettere al potere una nuova classe di politici e intellettuali socialisti al posto degli attuali capitalisti, invece di attuare un cambiamento di fondo. Fu così che propose il sindacalismo rivoluzionario, al fine di preservare lo spirito rivoluzionario del marxismo spostando il centro dell’attenzione dalla politica parlamentare propria delle socialdemocrazie all’azione diretta guidata dall’immagine ispiratrice e non razionale dello Sciopero Generale (mito) dei sindacati autonomi, giungendo così ad una rigenerazione morale del proletariato. Convintosi dell’incapacità del sindacalismo rivoluzionario di connettersi al proletariato, Sorel fece un altro tentativo di risolvere la “Crisi del Marxismo”. Questo tentativo culminò nella nascita della Cercle Proudhon, un’insolita organizzazione politica che riuniva personalità di tutto lo spettro politico, dai marxisti (come Sorel) ai sindacalisti (Édouard Berth), anarco-sindacalisti (Georges Valois), monarchici (Henri Lagrange) e nazionalisti (Charles Maurras). Questo movimento sincretico protofascista univa “sindacalismo rivoluzionario, o marxismo soreliano”, e nazionalismo, dando vita ad un “sindacalismo nazionale” che cercava di attirare le masse al sogno nazionale socialista.
Mussolini inizialmente faceva parte della segreteria nazionale del Partito Socialista Italiano ed era direttore del quotidiano socialista Avanti!. Allontanatosi dal marxismo ortodosso, trovò nuova ispirazione nel “sindacalismo rivoluzionario” di Georges Sorel, un’ideologia revisionista marxista. Il colpo alle sue convinzioni internazionaliste arrivò con l’esperienza trentina del 1909, quando i socialisti austriaci spostarono l’attenzione dall’internazionalismo all’identità nazionale, andando verso un “socialismo estremo” e ponendo gli italiani ai margini. I dubbi di Mussolini presero corpo all’inizio della Prima Guerra Mondiale, quando i partiti socialisti europei abbandonarono l’internazionalismo per sostenere lo sforzo bellico dei loro rispettivi paesi. Questi fatti lo spinsero a adottare il sindacalismo nazionalista, come spiega nel suo libro Opera Omnia: “le cause del malessere psicologico di noi socialisti sta nel non aver mai preso in esame i problemi della nazioni. L’Internazionale non se ne è mai occupata; l’Internazionale è morta, è in balia degli eventi. La nazione rappresenta uno stadio del progresso non ancora superato. Il sentimento nazionale esiste, è innegabile!”
Pertanto il fascismo nasce da una sintesi tra idee socialiste e idee nazionaliste, e cerca di attirare le masse ponendo la nazione prima della solidarietà internazionale. Da qui nasce il corporativismo mussoliniano, che voleva unificare le classi al fine di rafforzare lo stato e renderlo capace di opporsi all’imperialismo occidentale, scartando la lotta di classe che indebolisce la nazione. In questo senso, il corporativismo mussoliniano ricorda la nuova teoria democratica di Mao. Anche Mao invitava le quattro classi ad unirsi nella lotta della nazione contro l’imperialismo occidentale. Casi simili di collaborazione di classe nel nome dell’antimperialismo a spese della lotta di classe si trovano in vari paesi “del socialismo reale”: Cina, Repubblica Democratica Tedesca, Repubblica Popolare di Corea e Repubblica Socialista dell’Unione Birmana.
Il fascismo giapponese: puro socialismo
L’ideologia fascista dell’Impero Giapponese si basa sulle idee di Kita Ikki, definito spesso “padre del fascismo giapponese”. Kita definiva il suo pensiero, che era un misto di socialismo, nazionalismo, buddismo, scintoismo e militarismo, “socialismo puro”. Voleva la trasformazione del paese. Voleva una nazione potente, equa e anticapitalista, avanguardia delle nazioni proletarie, guida di una rivoluzione mondiale contro l’imperialismo occidentale e il colonialismo. I suoi ideali furono adottati dall’Impero Giapponese e andarono a formare il cuore del fascismo nazionale, un’ideologia che ispirò tanti e che alla fine uccise se stessa.
L’influsso giapponese si estese alle colonie del sudest asiatico. Chandra Bose e Aung San, attratti in gioventù dagli ideali comunisti e socialisti, finirono per invocare la mano militare del Giappone imperiale al fine di liberare i loro paesi dal colonialismo britannico. Bose fondò l’esercito per l’indipendenza indiana mentre Aung San istituì l’esercito per l’indipendenza della Birmania. Dietro la guida dell’esercito imperiale giapponese, entrambi finirono probabilmente per assorbirne il sincretismo fascista. Gli ideali di Bose giunsero a una sintesi di nazionalsocialismo e comunismo.
Il sincretismo dietro la via birmana al socialismo
Dopo il colpo di stato del 1962, l’esercito di Myanmar, guidato dal generale Ne Win, ex membro del partito comunista birmano, diede vita al Partito per il Programma Socialista della Birmania (PPSB) affinché governasse il paese secondo una nuova ideologia: la “via birmana al socialismo”. Thein Phe Myint, terzo segretario generale del Partito Comunista della Birmania, assieme a molti suoi colleghi, accolse con favore il regime marxista-leninista, anche se in linea generale il suo partito considerava fuorilegge il regime di Ne Win, in particolare giudivava illegittima la pretesa del Partito del Programma Socialista di rappresentare l’avanguardia della classe lavoratrice. Il partito, sosteneva, aveva preso il potere con un colpo di stato al fine di mettere in pratica il proprio programma, che era in contrasto con quello del Partito Comunista. Ma la dottrina di base del PPSB, la “via birmana al socialismo”, conteneva molti tratti e politiche che ricordavano il marxismo-leninismo. Tanto che Thakin Chit Maung, cofondatore del Partito dei Lavoratori Birmani (altro partito marxista-leninista), e altri suoi colleghi di partito, finirono per accettare o unirsi al regime. Thakin Tin Mya, membro del comitato centrale del Partito Comunista della Birmania, arrivò ad aiutare il regime a dar corpo alla via birmana al socialismo assieme a U Chit Hlaing, principale architetto dell’ideologia.
U Chit Hlaing fu un personaggio politico molto attivo a Myanmar, avendo fatto parte di tre diversi partiti: il Partito Comunista di Birmania, il Partito Comunista (Bandiera Rossa) di Birmania, e il Partito Socialista di Birmania. Fu anche fondatore della Compagnia Letteraria Popolare che tradusse e interpretò le opere di Karl Marx e Mao Tse-tung. Intellettualmente, Hlaing si formò all’estero. A causa del suo dissenso verso lo stalinismo del partito comunista, gli fu negata la possibilità di studiare in Unione Sovietica. Andò a Parigi. Qui, dal 1951 al 1955, conobbe il nuovo revisionismo marxista-leninista, soprattutto quello del maresciallo Tito in Yugoslavia, che pur non allineandosi al blocco occidentale era in contrasto con lo stalinismo. Questo comunismo non ortodosso, unito all’ascesa del movimento del movimento dei paesi non allineati, influenzò profondamente il pensiero di Chit Hlaing. Tornato in Birmania nel 1955, cominciò a scrivere per la rivista militare Myawaddy. I suoi articoli erano una critica contro lo stalinismo, delineavano un quadro filosofico “sintesi tra idealismo e materialismo”, un tentativo di combinare materialismo marxista e principî buddisti. Al fine di rafforzare la correlazione si servì di termini del canone tradizionale pāli per introdurre e ricontestualizzare ideali socialisti e marxisti. La sua ideologia sincretica cercava di porre le basi di un futuro stato socialista in armonia con i valori morali buddisti. Pur servendosi di concetti marxisti-leninisti come l’anticapitalismo, Chit Hlaing era sostanzialmente un conservatore nazionalista. Al pari di terze vie corporativo-statuali e della nuova democrazia di Mao, la “via birmana al socialismo” puntava a costruire l’edificio statale attraverso la collaborazione tra classi e nel nome dell’“antimperialismo” della nazione oppressa, con un’economia guidata dallo stato attraverso le nazionalizzazioni. In maniera simile ai nazionalisti bolscevichi, escludeva “ultranazionalisticamente” chi, soprattutto indiani e cinesi, era considerato straniero o borghese. Nel contesto politico birmano, Chit Hlaing può essere considerato la mente dell’ideologia di regime, così come Giovanni Gentile fu il filosofo del regime fascista, mentre Ne Win, come Mussolini, era il leader politico che incarnava e metteva in pratica tale ideologia.
L’originaria dittatura militare birmana, seguendo la “via birmana al socialismo”, finì per assumere le forme del “socialismo in un solo paese”, o “bolscevismo nazionale”, unendo nazionalismo e socialismo. In questo sistema politico il partito dell’avanguardia, unico partito ammesso, si serviva dello stato per prendere il posto che era stato della borghesia, tenendo sotto controllo i mezzi di produzione e appropriandosi del plusvalore (dato che una classe capitalista non esisteva più). Al fine di mantenere il controllo, il partito bandì i sindacati e soppresse qualsiasi forma di dissenso, bollato come antirivoluzionario e nemico dello “stato socialista”.
I regimi neofascisti dopo il Partito del Programma Socialista
Nel 1988, le forze armate di Myanmar presero il potere, sciolsero il Partito del Programma Socialista e istituirono il Consiglio di Stato per la Restaurazione della Legge e dell’Ordine, poi rinominato Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo. Abbandonato il socialismo, il regime governò come una dittatura pragmatica fino al 2010. Un’ideologia specifica non esisteva, anche se il suo leader indiscusso, Than Shwe, veniva dal precedente Partito per il Programma Socialista e aveva frequentato la scuola per ufficiali di stato maggiore presso l’accademia sovietica Frunze, oltre ad un corso specialistico presso il KGB. Nonostante l’assenza di un’ideologia definita, il punto di vista del regime ricordava l’antifederalismo di Stalin, di cui imitava la russificazione con una corrispondente birmanizzazione diretta a soffocare le popolazioni non di etnia bamar. Il regime ricorse sistematicamente alla violenza di stato: massacri, violenze sessuali (usate come tattica militare) e un tentativo di genocidio contro quelle etnie che si opponevano all’assimilazione culturale forzata (birmanizzazione).
Dopo le contestate elezioni del 2010, il governo semi-militare guidato dal presidente Thein Sein e dal Partito dell’Unione della Solidarietà e dello Sviluppo adottò un’ideologia chiaramente neofascista identitaria di estrema destra. Al centro della svolta era l’identità ultranazionalista buddista rivolta contro chi non era buddista, in particolare i rohingya e i musulmani bengalesi. Lo spostamento ideologico del regime attirò le simpatie di molti nazionalisti buddisti antimilitaristi. L’ondata ultranazionalista produsse politiche xenofobiche e tentativi di genocidio contro le popolazioni bengalese e rohingya. Inoltre inasprì il processo di birmanizzazione e mantenne l’atteggiamento antifederalista (stalinista), bocciando come separatismo etnico qualunque richiesta federalista.
Dopo il colpo di stato del 2021, la giunta militare del generale Min Aung Hlaing ha espresso l’intenzione di abbandonare il neoliberalismo a favore dello stato unitario, con il ripristino del sistema economico delle cooperative di stato dei tempi del Partito per il Programma Socialista. La giunta militare continua le campagne genocide contro i rohingya, considera separatismo il federalismo al fine di diffondere terrore, e commette crimini di guerra contro tutti quei civili che non ne riconoscono la “statualità”.
Riassunto
Il regime del Partito per il Programma Socialista praticava un sincretismo ideologico che combinava filosofie antitetiche come il bolscevismo e il nazionalismo, oltre al materialismo dialettico e l’idealismo assolutista. Pur senza una chiara ideologia ufficiale, le dittature militari di seconda generazione attuano politiche ultranazionaliste, antifederaliste, isolazioniste e totalitarie. La prassi governativa, compresa la birmanizzazione e la posizione antimperialista, ricorda da vicino gli ideali dello stalinismo e del bolscevismo nazionale. La dittatura attuale alle ideologie storiche aggiunge l’identitarismo neofascista nel tentativo disperato di mantenere il potere. In epoche diverse, i vari regimi militari di Myanmar hanno dimostrato l’adesione ad almeno una forma di fascismo o in termini operativi, filosofici di fondo, oppure ideologici.
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